L’illusione del potenziamento territoriale e le sfide del precariato
Il Governo italiano destina agli infermieri 250 milioni di euro e 350 milioni per gli anni a seguire: briciole se consideriamo che il Crea (Consorzio per la Ricerca Economica Applicata in Sanità) stima che occorrerebbero 272 mila infermieri per essere in linea con le cure sanitarie del Paese.
I lati oscuri del potenziamento della sanità territoriale
Come si legge sull’Espresso, a causa della situazione sanitaria sempre più preoccupante data dagli ospedali al collasso e dai pronto soccorsi intasati, si è pensato di rafforzare l’assistenza territoriale integrando 1.300 case di comunità, 600 Centrali Operative territoriali e 400 ospedali di comunità, usufruendo del finanziamento di 20 miliardi di euro destinato alla sanità da parte dell’Europa.
Poco dopo ridotti dall’attuale Governo a 886 case della comunità, 526 Centrali Operative e 304 ospedali di comunità.
Il potenziamento della medicina territoriale, non comprende però alcun fondo per l’assunzione di infermieri, medici, fisioterapisti e assistenza sanitari per le nuove strutture.
Orazio Schillaci, ministro della Salute, garantisce che entro la fine del 2024 verrà eliminato il tetto di spesa al personale, un limite imposto alle spese per il personale sanitario che può essere controverso poiché potrebbe influenzare la qualità dell’assistenza sanitaria e le condizioni di lavoro del personale.
Le sfide di un assistente domiciliare
Questo è il caso di Giuseppe Adaggio, Operatore sociosanitario, che dal 2005 svolge un lavoro importante: entra nelle case dei più fragili, verifica le loro condizioni fisiche e mentali, offre cure minime per mantenere la loro salute, come fare un bagno caldo o pulire le ferite.
Giuseppe racconta: “Sono assunto da una cooperativa. Ogni tre anni l’Asl territoriale indice un nuovo bando e quindi, ogni tre anni, cambio datore di lavoro. Non sempre va tutto liscio”.
Ogni cambio di appalto per Giuseppe comporta la perdita degli aumenti salariali per anzianità. Questa situazione si traduce in una diminuzione delle ore per l’assistenza domiciliare, non perché c’è meno bisogno, ma perché ci sono meno fondi disponibili. Il rischio è di non raggiungere sufficienti pazienti e non riuscire a raggiungere uno stipendio dignitoso.
Giuseppe Adaggio durante la sua giornata lavorativa deve assistere 9 pazienti, tutti in zona Fuorigrotta, Napoli. I pazienti sono perlopiù anziani allettati che hanno bisogno di costanti cure e assistenza.
Nonostante l’importanza del suo lavoro, Giuseppe guadagna solo 8,8 euro lordi all’ora, meno di un fisioterapista che guadagna 9,6 euro l’ora e di un infermiere che guadagna 10,4 euro l’ora.
Questo salario non include buoni pasto, nessun rimborso spese per gli spostamenti e il mezzo di trasporto è a carico del lavoratore. Inoltre, il tempo impiegato per spostarsi da un paziente all’altro non viene pagato.
Precariato nella sanità e prospettive incerte
La Funzione Pubblica della CGIL commenta i nuovi dati statistici del Ministero della Salute, che indicano che nel Servizio Sanitario Nazionale ci sono attualmente 62.000 precari, con un aumento dell’80,7% rispetto a dieci anni fa (quando erano 34.000 nel 2013).
Sebbene la maggioranza dei lavoratori della sanità sia assunta a tempo indeterminato (670.000), il continuo aumento dell’impiego di lavoratori precari, cooperative, lavoratori a termine e gettonisti, indica che la sicurezza occupazionale viene minata di anno in anno.
Michele Vannini, segretario della Funzione Pubblica della CGIL, nonostante gli annunci del governo, non vede prospettive di miglioramento.
Nell’ultima manovra finanziaria, il governo ha annunciato un aumento di oltre due miliardi per i salari dei medici, ma quei fondi erano per il contratto scaduto nel 2019-2021.
Schillaci inoltre ha destinato più fondi per finanziare prestazioni aggiuntive per ridurre le liste d’attesa, proponendo agli operatori sanitari di fare ore extra dopo il loro turno settimanale di 36 ore.
La sanità privata beneficia di più risorse per ridurre le liste d’attesa, mentre il finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale è al minimo storico del 6% del PIL, costringendo le regioni a tagliare servizi essenziali.
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